
"La parole della Croce.. è potenza di Dio" (1 Cor. 1 - 18).
"Ed ora, Signore, stendi la tua mano perché si compiano guarigioni, miracoli e prodigi nel nome del tuo santo servo Gesù. Così, volendola riassumere in due parole, descriverei la profonda esperienza di preghiera che il Signore ci ha riservato in occasione del XV Incontro Regionale della Comunità Maria della Sicilia che anche quest’anno, com’è ormai consuetudine, si è svolto in novembre nella città di Brolo, in provincia di Messina.
Per l’occasione anche dalla Puglia una nutrita rappresentanza della comunità di Ginosa (Ta) ha condiviso con noi la preghiera di lode e ci ha fatto sentire l’unione con tutta la Comunità Maria d’Italia.
Il Signore non si è accontentato di averci riuniti per fare esperienza della liberazione che viene dal lodare, dall’invocare il nome di Gesù, ma ha voluto entrare nel profondo di quello spartiacque del cuore ove si gioca, attimo per attimo, la nostra salvezza, la lotta fra il bene e il male, fra la grazia e il peccato, fra la fede e l’incredulità, fra l’amore e la durezza del cuore, là dove, dopo aver fatto un passo nella sublimità del mistero di Dio, si è capaci di dissipare tutto rotolandosi nel fango. È in questo luogo segreto dei più intimi pensieri del cuore che, dopo l’invocazione dello Spirito Santo, Rhua Soffio di Vita, il Signore viene a rassicurarci attraverso le parole del canto: "Di che cosa avete paura… di quel che mangerete, di quel che vestirete… ma che cosa voi temete quando Io sono con voi?".
Ed ecco ancora, per conferma, le parole profetiche che sorgono nell’assemblea: "Qualcosa di nuovo sta nascendo oggi…". Ed anche il passo della Scrittura si sintonizza su questa linea d’onda: "Contemplavo sempre il Signore innanzi a me, poiché egli sta alla mia destra, perché io non vacilli. Per questo si rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua, ed anche la mia carne riposerà nella speranza, perché tu non abbandonerai l'anima mia negli inferi, né permetterai che il tuo Santo veda la corruzione. Mi hai fatto conoscere le vie della vita, mi ricolmerai di gioia con la tua presenza". (At. 2,25-28).
La profezia dell’incontro è basata su un versetto della prima lettera di S. Paolo ai Corinti, in cui l’apostolo, dando ancora una volta esempio di quella sua particolare capacità di condensare elevati concetti teologici in semplici frasi, afferma "la parola della croce… è potenza di Dio" (1Cor. 1,18).
Ai più neofiti viene da chiedersi cosa abbiano da spartire l’annullamento della croce e la potenza del Signore. È padre Tanino Tripodo, responsabile della Caritas diocesana di Messina, e per numerosi anni parroco nella parrocchia di Ganzirri, che ce ne dà la spiegazione, attingendo dal tesoro del magistero e dei pronunciamenti dei Padri della Chiesa e dei Pontefici.
E allora ecco la prima esigenza: purificare il concetto di "croce" dai residuati filosofici della cultura classica greco-romana che legano la sofferenza, il sacrificio, l’eroismo nella sopportazione del dolore fisico, alle correnti del manicheismo e dello stoicismo. Anche San Paolo nella sua prima lettera a Timoteo ne fa un accenno riferendosi a quei convertiti che vogliono imporre a tutta la Chiesa le loro personali conquiste nel campo dell’ascesi e della mortificazione personale, come cammino per assurgere alla perfezione spirituale. E stronca tutto dicendo che si tratta di pratiche "che sembrano avere i connotati della spiritualità, ma in effetti servono soltanto a nutrire l’orgoglio… conservano l’apparenza della fede avendone, però, rifiutato la sua forza interiore". In un altro passaggio S. Paolo dirà che "lo Spirito è vita, la carne non serve a nulla", significando con la parola "carne" la volontà dell’uomo di voler assurgere ad una perfezione, anche attraverso una rigida disciplina, che però non ha nulla a che fare con la logica del "dono" della "salvezza gratuita" che Cristo, con la sua Croce, ci ha ottenuto, riscattandoci "dalla schiavitù del peccato e della morte".
Soltanto rimanendo intimamente uniti a Cristo Crocifisso ricaviamo il valore del suo sacrificio per noi. Solo dalla contemplazione dei dolori del Cristo sofferente possiamo rimanere attratti, quasi sedotti dalla potenza di Dio che scaturisce dalla kenosis, dal nascondimento del Verbo di Dio che "pur essendo di natura divina" non esitò a spogliarsi di tutto "umiliando sé stesso fino alla morte e alla morte di croce". E’ da questo annullamento di Gesù che il centurione, sotto la croce, "vedendolo spirare in quel modo", pur essendo un pagano, potrà fare la sua confessione: "Veramente costui era Figlio di Dio".
Ecco svelato il segreto della potenza di Dio: nessun discorso, nessun teorema avrebbe potuto "dimostrare" la divinità di Cristo. La sua morte "come angelo mansueto condotto al macello e che non aprì bocca", il suo costato squarciato e aperto libera, invece, l’irruzione dello Spirito Santo che dove trova un cuore sincero e aperto lo fa vibrare all’unisono nel cuore di Dio, fa tremare la terra, squarciare il velo del tempio e spalanca i sepolcri.
La croce in sé non ha valore. È Gesù che dà senso e valore alla croce. È Gesù che dà senso al silenzio della croce. È la croce di Cristo che fa "innamorare" di Gesù al punto da desiderare – come l’Apostolo – "di essergli conforme nella morte per essergli conforme nella resurrezione". E aggiunge: "Sono crocifisso con Cristo. La vita che io vivo, la vivo nella fede nel figlio di Dio che mi ha amato e ha dato sé stesso per me".
La "croce" che Gesù ci invita a prendere, rinnegando sé stessi, non è l’insuperbirsi per la capacità di assumersi delle sofferenze intese come conquiste che facciano arrivare alle vette della perfezione, ma è il riceverla come un dono di Dio, rimanendo unito a Gesù e formando una catena di comunione con tutti gli altri fratelli, crocifissi anche loro con Cristo, che, pur crocifiggendomi (perché lo Spirito ci porta "dove noi non vogliamo"), consente la circolazione della grazia. Ognuno di noi diviene così un terminale di grazia ove l'uomo desideroso di salvezza che "ci tocca" può riceverla e rimanere a sua volta "sedotto" dalla grazia di Dio. Questa è la missionarietà a cui è chiamata la Comunità Maria. Questa è la missionarietà della Chiesa. Questo è l’opposto del vuoto "proselitismo", che Papa Francesco ha più volte censurato, e nel quale si cade quando si va agli altri senza essere uniti a Cristo, portando sé stessi, le proprie capacità (quando ci sono) ma non la presenza di Dio che, solamente, può trasformare i cuori.
Non dobbiamo più convincere nessuno a "convertirsi" ma vivere da cristiani che lasciano rifulgere in loro la luce di Cristo affinché gli altri ne siano conquistati per attrazione.
Per il secondo anno, gradito ospite è stato un vero pastore di anime, il Vescovo emerito di Cefalù, mons. Francesco Sgalambro. Egli, attento testimone, non ha perso un attimo della preghiera e delle testimonianze. E quando ha presieduto la celebrazione, umilmente e con il consueto sorriso che lo contraddistingue, non ha esitato a dirci: "sarebbe stato più giusto che io continuassi a rimanere seduto in fondo alla sala per fare tesoro – custodendoli come Maria nel mio cuore – di tutta l’abbondanza di grazia che promana dai vostri visi, dai vostri occhi, dalle vostre parole…".
Anche la cronaca di questo nostro annuale incontro giunge alla conclusione… non è una fine ma un nuovo inizio perché la grazia di Dio non passa invano ma, come la Parola, "non torna mai indietro senza aver compiuto ciò per cui Dio l’ha inviata".