
"Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è Spirito." (Gv. 3,6).
Einstein amava ripetere che “chi non riesce più a provare stupore e meraviglia è come morto”. Probabilmente è per questo che le comunità della Sicilia anche quest’anno hanno fortemente desiderato e realizzato il consueto Incontro Regionale ad un passo dallo stupefacente e suggestivo litorale di Brolo, dove, nitide, si stagliano sullo sfondo del mare le isole Eolie, in un trionfo di bellezza che toglie il fiato e piega le ginocchia davanti alla generosità del Creatore.
È stata la parola di Dio che ci ha convocati al XVI incontro donandoci una profezia che è tutto un programma: “…Quello che è nato dalla carne è carne e quello che è nato dallo Spirito è Spirito…” (Gv 3,6) e l’accoglienza della bellezza di una natura travolgente ci annuncia già l’Amore di Dio per le sue creature che hanno ascoltato il Suo richiamo.
Eccoci Signore! Ecco i fratelli convenuti dalle comunità di Messina da Ganzirri e da San Camillo, da Rometta, da Sciara (Pa) e anche dalla vicina Bagnara Calabra, sostenuti dalla preghiera viva dei fratelli responsabili nazionali provenienti da Roma, ci siamo ritrovati pieni di desiderio e disponibili a farci “plasmare” dallo Spirito. Così come prefigurava il tema stesso dell’incontro, “la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste”(Gal. 5,17) dove la carne rappresenta quella realtà mondana che ci portiamo sempre dietro e che, anche inconsapevolmente, ci condiziona. Assomigliamo un po’ tutti a Nicodemo che, sì, va da Gesù, volendo capire meglio il senso della sua proposta di Vita, ma ci va di notte, col “corredo” delle sue tenebre, disposto magari a recepire da Gesù quello che non disturba le sue sicurezze, il suo “blasone”di presunta saggezza e sapienza…
Un atteggiamento, quello di Nicodemo, nel quale possiamo riconoscerci in molti e dal quale scaturisce ciò che è molto in voga chiamare “relativismo religioso e morale”, che ci fa aderire a Dio solo per quello che più riteniamo possa collimare col “nostro” progetto di salvezza, dimenticando che i “diritti d’autore” appartengono al Signore e solo Lui potrebbe cambiarlo o ridurlo. A noi resta la libertà di accettare o respingere quel progetto, la libertà di diventare servi consapevoli di quella Santa Intenzione, oppure diventare nemici di Dio.
Non dobbiamo selezionare ciò che ci pare e ci piace di quel Disegno Divino, perché significherebbe tentare di “farsi Dio,”per arrogarsi il diritto di correggere quello che non possiamo e non dobbiamo alterare neanche un po’.
Abbiamo, poi, invocato il Nome di Gesù come Potenza di Dio che salva. Subito una Parola profetica ha scosso l’assemblea: “Che cosa siete venuti a fare qui?”.
“Vi esorto dunque, fratelli, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm. 12, 1-2).
Ma da dove iniziare se, condizionati dall’essere spinti a soddisfare i desideri della carne, rimaniamo statici perché – come dice l’Apostolo – “non facciamo ciò che vorremmo”? (Gal 5,17 cfr).
Non resta allora che iniziare – come saggiamente raccomandava S. Teresa d’Avila – dal comprendere cosa debba significare per un buon cristiano il “desiderio”. Desiderio di Dio, desiderio e amore per la Sua Volontà (anche se a tutti è sembrato tanto lontano dalle nostre possibilità!) desiderio di vivere come piace a Dio, desiderio di allontanarsi dal male, dai vizi, dai compromessi che troppo spesso tengono in balìa delle onde la barchetta della nostra flebile volontà.
Solo partendo da questo desiderio di salvezza e di santità, lo Spirito Santo scende, si accende in noi, opera, guarisce, libera. Un desiderio concepito e offerto nella Fede, nella Speranza e nel totale abbandono nelle mani del Signore e confermato nella lode.
La domanda che abbiamo “osato” fare a noi stessi così si riassume e ha risuonato nei nostri cuori:” Vogliamo davvero noi questo? Siamo disposti davvero a “vendere” tutto per questo? Siamo disposti, senza esitare, ad accaparrarci e custodire gelosamente la perla di grande valore che ci fa esclamare:”la tua grazia val più della vita?” (Sal 62).
E allora è stato inevitabile confrontarsi, nella Verità, col continuo fallimento dei nostri sforzi di piacere a Dio, a volte lodevolmente sofferti. Ci consoli il desiderio di Dio, che dentro di noi non deve morire mai, che, come il “provando e riprovando” di Galileo Galilei, significa soprattutto “riprovare”, cioè giudicare imperfetto il nostro fallito tentativo e cercare in noi, con l’aiuto del Padre, il coraggio di “provare ancora” a diventare Santi fedeli di Dio. Il vero dinamismo della vita spirituale consiste, come diceva anche S. Ireneo, nella continua conversione in quanto “l’anima si trova tra due stati: ora segue lo Spirito e vola; ora segue la carne e precipita rovinosamente”. Le cadute, anziché spingerci allo scoraggiamento e al ripiegamento su noi stessi, devono spingerci di nuovo fra le braccia del Signore “che fa nuova ogni cosa”…
Nelle parole dell’insegnamento di Padre Antonello Angemi, vengono ripresi e ben sviluppati i concetti enunciati in preghiera.
Padre Antonello riparte proprio dalla figura di Nicodemo come simbolo di coloro che si fanno condizionare dalla loro mentalità e sono incatenati dalle loro sicurezze. Gesù invita Nicodemo a rinascere, provando a smuovere il suo immobilismo e la stessa miopia spirituale con la quale cerca di sostenere il dialogo con Gesù. L’ostacolo più grande per Nicodemo è la presunzione di aver compreso tutto del “cammino di perfezione” e la fiducia nella “propria giustizia”. E’certamente incuriosito dall’insegnamento di Gesù – perché nel suo cuore, in fondo, non c’è la malizia tipica dei Farisei – ma non ha il coraggio di schierarsi totalmente con Gesù, preferisce rimanere nella logica dell’ ”onorevole” compromesso.
Questo è il più grande rischio di chi cammina da molto tempo nelle vie di Dio.
È proprio per togliere l’illusione di aver “realizzato molto”, durante gli anni di cammino, che San Gregorio di Nissa amava rammentare che “nella vita cristiana si va da inizio a inizio, con inizi che non hanno mai fine”.
L’incontro con Nicodemo sembra ripercorrere lo stesso filo dialogico dell’incontro di Gesù col giovane ricco. Nicodemo non abbandona davanti al Signore il proprio “io”, la sua mentalità, la sua grande presunzione di sé e delle sue certezze. Gesù, che conosce nella profondità il suo cuore di uomo buono, non lo respinge, parlando della necessità di “rinascere in acqua e Spirito”, ma lo incoraggia alla completa conversione nello Spirito. Solo chi vive di questo Spirito, infatti, può avere qualche possibilità di successo nella conversione del proprio cuore.
Solo accogliendo lo Spirito possiamo ottenere la vittoria sul peccato e “far morire le opere delle carne”.
Lo Spirito non viene, infatti, a fare cose nuove nella nostra vita ma “viene a fare nuove tutte le cose”.
Ecco perché chi si fa guidare dallo Spirito è sempre rinnovato, non è ripetitivo, non dice sempre le stesse cose, e le parole che dice, le cose che fa, la vita che vive diventa effluvio della stessa Grazia di Dio, che è la presenza viva e vera di Gesù che continua ad operare, come duemila anni fa.
Gesù parla anche di “carne”, laddove il sostantivo greco originale non si riferisce alla corporeità, come sarebbe facile intendere nella nostra lingua, ma alla concupiscenza, ai desideri cattivi, all’egoismo e al desiderio di possesso malvagio, che strumentalizza l’altroper i propri bisogni. Malizia e perversione che possono portare fino all’omicidio.
Che cosa “domina” in noi? Lo Spirito Santo? Oppure siamo dominati dalla “mondanità”, con i suoi vizi e le sue concupiscenze?
Andiamo continuamente a Gesù, consegnando a Lui il nostro essere con la nostra “carne”, oppure ci dilettiamo nell’eterno “fai da te”, nell’acquisizione di un modello di giustizia, con la quale ci confrontiamo con Dio e con i fratelli, che l’Apostolo stesso ha bollato come fallimentare e illusoria? “I desideri della carne portano alla morte…” (Rm 8, 6-7;1-4). E aggiunge: “Ora quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri” (Gal. 5,24).
Cosa siamo disposti a rinnegare della carne per vivere nello Spirito di Dio? Dove “rinnegare”non significa lo sforzo eroico di conquista di una vetta di santità, ma è l’umile consapevolezza che “senza Gesù non posso far nulla” (Gv 15).
Allora dico “no!” al peccato, resistendo dall’assecondare i desideri cattivi, anche se li sento agitarsi dentro di me, e mi fido di Gesù, che ha vinto quel peccato, e vincerà il desiderio cattivo dentro di me, donandomi la salvezza, cioè rendendomi capace “non soltanto del volere ma anche dell’agire”.
Noi siamo creati per volare come le aquile e non per “rimbalzare” come le galline. “Rinnegare” è anche dominare i desideri apparentemente leciti ma spesso troppo prepotenti in noi e che tendono a creare legami, condizionamenti e schiavitù. Poniamoci una domanda: come capisco se cammino secondo lo Spirito o secondo la carne?
Dice San Giovanni che “chi vive secondo i comandamenti di Gesù vive nello Spirito”.
Il principale e intransigente comandamento è quello dell’Amore, soprattutto dell’Amore di Dio, un dono che viene “dall’alto” che rende bello e amabile anche il “nostro” amore.
Come è scritto nella lettera ai Galati quando si parla dei molteplici doni dello Spirito: “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22).
La “rinascita dall’alto” è già avvenuta in noi nel Battesimo e per noi che abbiamo valorizzato nelle nostre vite l’opera dello Spirito e dei suoi doni con la preghiera di effusione, occorre non dimenticare mai – come dice anche padre Raniero Cantalamessa – che essa è “il giorno del funerale dei vizi e dell’uomo vecchio”.
E conclude: “Nessuno può decidere se nascere o meno, invece rinascere nello Spirito è un atto volontario per cui diventiamo padre di noi stessi”.
Per il terzo anno consecutivo abbiamo goduto della gioiosa presenza del Vescovo Emerito di Cefalù, mons. Francesco Sgalambroche ha celebrato l’Eucaristia e ha voluto, con un pizzico di bonaria ironia, commentare gli intensi e prolungati momenti di preghiera: “Quando pare che stia per finire (la preghiera) e magari qualcuno inizia a tirare un sospiro di sollievo – specie in ambito “clericale” dove più breve è… meglio è – ecco che in questa vostra comunità la Spirito Santo la suscita nuovamente con dei movimenti nuovi… Siete veramente abili a far fare allo Spirito tanti “straordinari” senza che riceviate alcuna “vertenza sindacale”…
La conclusione più bella dell’Incontro Regionale non poteva che essere la preghiera della mattina dell’ultimo giorno, un’esperienza di guarigione e di libertà nello Spirito, che ci ha fatto sussultare di intima gioia nell’ accogliere le vive parole dell’Apostolo Paolo:
“…Questa vita che vivo nella carne,
io la vivo nella fede del figlio di Dio,
che mi ha amato
ed ha dato la Sua vita per me!” (Gal 2,20).